Ingredienti: per 4 persone
1 faraona da 1,2 kg, già pulita
1 bottiglia di birra doppio malto da 33 cl
3 scalogni
2 costole di sedano
1 rametto di salvia
1 ciuffetto di timo fresco
olio extravergine di oliva
sale
pepe
La faraona è un volatile da cortile che non è assimilabile alla selvaggina ma non rientra neanche nella famiglia del pollame. Ha infatti carni cosiddette grigie, ossia più scure di quelle di polli e tacchini. Il sapore viene paragonato, sia pur lontanamente, a quello del fagiano, ma le carni sono più morbide e mostose. Si cucina in casseruola, oppure al forno e anche “alla creta”; è molto apprezzato anche il petto stufato.
Preparazione: 20’ + 50’ di cottura
- Pulite la faraona e fiammeggiatela per eliminare l’eventuale peluria residua, quindi lavatela bene e tagliatela in otto pezzi; asciugateli e teneteli da parte.
- Sbucciate gli scalogni; mondate le costole di sedano, lavatele e tagliatele a rondelle eliminando eventuali filamenti.
- In un capace tegame che possa andare anche in forno scaldate 5 cucchiai di olio, quindi unite i pezzi di faraona, lo scalogno, le rondelle di sedano, 5-6 foglie di salvia e un rametto di timo spezzettato; salate e pepate.
- Fate rosolare bene i pezzi di faraona, voltandoli più volte, quindi bagnateli con la birra e proseguite la cottura a fuoco dolce per 10 minuti.
- Passate infine il tegame in forno caldo a 180 °C e fate cuocere la faraona per 30 minuti.
- Sfornate, regolate di sale e pepe e servite.
Vino consigliato: La preparazione potrebbe essere accompagnata dalla stessa birra utilizzata per la cottura, oppure da vini rossi di medio corpo come il Colli Orientali del Friuli Cialla Schioppettino o il Valcalepio Rosso.
Il Valcalepio rosso è un vino DOC la cui produzione è consentita nella provincia di Bergamo.
E' prodotto dall'unione di due vitigni importanti: Merlot (dal 40% al 75%) e Cabernet Sauvignon (dal 25% al 60%) coltivati nelle migliori posizioni della fascia collinare bergamasca. L'invecchiamento consigliato è di sei mesi in botti di rovere e altri sei mesi in bottiglia.
Il Valcalepio ha rappresentato in terra bergamasca la rinascita da un punto di vista enologico; a partire dagli anni 70 in poi infatti si sono poste le basi per riportare all'apice il vino del Colleoni. Dopo tutte le peripezie subite da questo vino nelle epoche passate, proprio a partire da questi anni si è assisitito alla sua ripresa. Il primo passo in questa direzione è stato fatto dalla Cantina Sociale Bergamasca che ha iniziato un buon numero di vinificazioni sperimentali, con vitigni autoctoni e vitigni miglioratori, i quali hanno portato alla creazione di questa tipologia DOC (1976).
La struttura agricola della bergamasca si stava evolvendo in tante piccole realtà produttive che si stavano affermando sui mercati regionali, soprattutto grazie all'intervento del Consorzio Tutela Valcalepio, proteso ad incentivare il loro sviluppo e ad accrescere le loro reali potenzialità. Grande cura si prodigò nella crescita del corpo sociale: innumerevoli viaggi d'istruzione in Italia e all'estero per ampliare gli orizzonti degli operatori vitivinicoli bergamaschi, corsi di addestramento e di formazione, di marketing, che permisero la presa di coscienza del fatto che anche una zona piccola nella produzione potesse diventare grande nella qualità. Le aziende furono aiutate in questo dalla locale Camera di Commercio e dall'Amministrazione Provinciale, che portarono all'adeguamento delle strutture produttive e mercantili.
Ecco il frutto di un lavoro paziente che faceva crescere, giorno dopo giorno, la convinzione dei produttori di lavorare ad un progetto vincente. Progetto vissuto con passione da questi produttori che hanno istituito anche un gruppo di giudici esperti che agiscono secondo le norme scientifiche dell'analisi sensoriale al fine di garantire la perfetta coesione tra qualità promessa e qualità erogata. Il consumatore ha quindi un'importanza fondamentale ed è seguendo questa metodologia che si può riuscire a mantenere nel tempo un rapporto duraturo e costante.
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