Ingredienti: per 4 persone.
3 rape rosse cotte
1 aringa affumicata dorata
1 mela gialla "delizia"
farina "00"
olio
chiodi di garofano
timo
ginepro
pepe
burro
latte intero
4 spicchi d'aglio
Preparazione: 28 ore e 20 min.
T'hanno sempre guardato occhieggiando, ma non c'è verso che ti avessero sedotto; se non nella plaghe delle saghe, lassù oltre il Circolo Artico. Dunque sorridi alla sorridente manifatturiera del banco pescato e ti appropri di aringhe, versione affumicata, versione dorata. Ti informi eh, mica che si possa fare così: c'è chi dice 48 ore, c'è chi dice tre giorni, c'è chi dice 1 minuto in acqua bollente. Tu che non ti fidi, metti tutto sotto latte intero, con chiodi di garofano, ginepro, timo secco per 24 ore. Ma non basterà: se t'aggrada un sapore meno rustico e sapido, raddoppia. Poi sciacqua bene, sventra e spella. Qualcuno ti insegnerà cosa farne, delle uova, una specie di bottarga alquanto saporifera: per il momento abbandoni, che c'è solo un numero finito di esperimenti che si possono fare nello stesso tempo. E' una operazione noiosa, ma meno di quello che pensi: basta partire dall'orifizio di servizio e risalire con il coltello da scanno, poi ripetere l'operazione nel senso opposto appoggiandosi alla lisca: poi dovrai pulire, rifilare, eliminare le lischette molli e tagliare a dadini. La pelle, scalzata dalla coda, vien via a strappo come la pellicola della ceretta. Per primo, taglia le rape rosse a fette alte un centimetro, acquistate nella familiare confezione sottovuoto già cotte, ottenendone cubi. Passa poi sotto olio evo per non meno di tre ore. Metti l'aglio vestito in una misura di latte. Fai bollire 5 minuti e vuota via. Aggiungi acqua fresca e porta di nuovo ad ebollizione per 5 minuti. Vuota via e ripeti sette volte. E' una preparazione ispirata a Bernard Loiseau, suggerita dall'inestinguibile Artemisia. Prepara un roux, con una bella noce di burro buono e farina "00". Poi allunga con una parte di latte fresco e una parte di latte aromatizzato, quello usato per dissalare le aringhe opportunamente filtrato. Ottenuta la consistenza desiderata, aggiungi l'aglio privato del germoglio, passa al frullatore e poi al colino sottile. Priva del torsolo con l'apposito attrezzo una mela gialla delizia non troppo matura ma abbastanza, e ricavane fette anulari sottilissime, avendo cura di passarle in una tazza d'acqua citronata. Aiutandoti con il coppapasta appoggia alcune fette di mela sul fondo, ricoprendo con la tartare di rapa rossa, e poi con l'aringa. Tutt'attorno un giro della salsa bianca all'aglio, a temperatura ambiente e una spolverizzata di pepe nero pestato di fresco.Vino consigliato: Manda in tavola con una birra di farro, la miracolosa Bionda di Farro della Petrognola
Il farro è il capostipite di tutti i frumenti oggi conosciuti, compresi il grano tenero e il grano duro, la sua coltivazione documentata risale al 7000 a.C. in siria e Mesopotamia, dove veniva utilizzato per la preparazione di polenta e focacce.
Il farro è stato l'alimento base degli Assiri, degli Egizi e di tutti i popoli antichi del Medio Oriente e del Nord Africa: con la farina di farro i Romani preparavano la puls, una polenta morbida di cui si cibavano i soldati e le plebi. Con la comparsa del grano, il farro ha subito un "momento di crisi", ma non in Garfagnana dove è stato sempre coltivato e tutt'oggi è brillato negli antichi mulini a pietra.Il farro della Garfagnana.
Il farro della Garfagnana che ha ottenuto dall'unione Europea il riconoscimento dell'indicazione geografica protetta (IGP) nel 1996, deve essere coltivato su terreni idonei, poveri di elementi nutritivi, in una fascia altimetrica fra i 300 e 1000m s.l.m.
La semina avviene in autunno, su terreno precedentemente preparato, utilizzando seme vestito derivante dalla popolazione locale di Triticum dicoccum. La produzione di farro della Garfagnana, secondo la normale consuetudine della zona, deve avvenire senza l'impiego di concimi chimici, fitofarmaci e diserbanti: data l'elevata rusticità della pianta, il farro coltivato con la tecnica tradizionale risulta di fatto un prodotto biologico.
La raccolta del farro avviene in estate, con le normali mietitrebbiatrici da grano. Il legame geografico del farro con la Garfagnana forma un binomio inscindibile e presenta requisiti peculiari tali da renderlo perfettamente distinguibile rispetto al farro prodotto in altre zone.
Il farro della Garfagnana è stato riscoperto oggi per le sue eccellenti proprietà dietetiche e per le sue fibre benefiche per l'apparato digerente.
Il birrificio La Petrognola, utilizza questo pregiato farro al fine di produrre una birra completamente artigianale.Il birrificio.
Tutto nacque nel 2002 in un piccolissimo paese dal nome Petrognola, a pochissimi minuti da Piazza a Serchio.
A quel tempo la birra veniva fatta in un grosso paiolo e il consumo era riservato ai soli fortunati amici, che subito ne apprezzarono il sapore.
Pochi mesi dopo la sua nascita ecco la prestigiosa ribalta del Salone del Gusto di Torino, con la birra, ad accompagnare le specialità alimentari garfagnine.
Dal successo ottenuto, all'interno di una ex-stalla, nacque il piccolo birrificio che tutt'oggi produce due tipologie di birra al farro: la nera e l'ambrata.
Nel 2006 questa birra è stata premiata dall'UnionBirrai come "Miglior Birra Artigianale dell'anno" nella categoria birre prodotte con altri cereali.
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