Se è vero che la cucina piemontese è fra le più varie e raffinate del nostro paese, è anche vero che molte delle sue ricette sono d’ispirazione contadina. I piemontesi, per loro natura sobri ma altresì amanti della buona tavola, hanno menù ricchi e articolati.
Caratteristiche salienti: l’utilizzo abbondante di burro e lardo (soprattutto nel passato), il consumo di verdure crude, l'uso del sanato (carne di vitello di pochi mesi nutrito con solo latte), la scelta dei formaggi, la presenza estesa dei tartufi, la preparazione dei grissini e l'impiego attento dell'aglio (bagna cauda).
Un posto d’onore nell’alimentazione del Piemonte è occupato dal riso, che ha in quest'area la suazona di maggior produzione europea. Nel Vercellese, la bonifica delle terre paludose fatta dai monaci cistercensi alla fine del medioevo, portò alla coltivazione intensiva del riso, e i conseguenti
flussi migratori dei lavoratori ne promossero il consumo in tutta la regione. Pur conservando un’autenticità, la cucina piemontese dovette fare i conti nel ‘700 con l'influenza della confinante Francia.
Ne è testimonianza il trattato settecentesco di anonimo: "Il cuoco piemontese perfezionato
a Parigi”.
Ne è testimonianza il trattato settecentesco di anonimo: "Il cuoco piemontese perfezionato
a Parigi”.
Fondamentale nella pubblicistica culinaria dell'Ottocento è invece il "Trattato di cucina pasticcera" del piemontese Giovanni Vialardi. L’opera fornisce un ricco repertorio di ricette italiane e non, tramandandoci alcune preparazioni fondamentali della cucina torinese e piemontese. Nel trattato del Vialardi sono ricordate le "tomatiche" (pomodori) farcite col riso alla novarese, la "carlotte di mele o pere" (dolce di frutta cotta) il cui nome deriva dal francese
charlotte, e le “castagne confettate” (marrons glacés).
Diverse sono le preparazioni denominate "alla piemontese".
Quella generica identifica una ricetta caratterizzata dalla presenza dei tartufi bianchi, poi c'è la farinata, il "bollito" (carni di manzo e vitello), il fritto (antipasto con pesciolini di fiume, frattaglie, frittelle di mele, semolino dolce e amaretti).
Nel Piemonte sono celebri anche i dolci: dal bonet al castagnaccio al gianduiotto. Centro creativo di questa produzione è Torino, con i tanti caffè storici, dove le vetrine traboccano di savoiardi, krumiri, amaretti, praline, marrons glacés, cioccolatini e caramelle che si possono accompagnare
ad uno zabaglione o ad un “bicerin” (caffè, latte e cioccolato), definito "indimenticabile" da Dumas nel 1852.
Tutti devono intingere il loro pezzo di verdura in quell'unico diàn, in allegra confusione e
soprattutto senza precedenze o soggezioni di sorta.
2) Per la preparazione della Bagna Cauda si devono usare solo acciughe "rosse di Spagna" ben mature e stagionate e olio
extravergine.
3) Nella Bagna Cauda si intingono prevalentemente cardi Gobbi di Nizza e peperoni Quadrati d'Asti, freschi. Tutte le altre verdure cotte o crude non sono necessarie, ma rappresentano un semplice "ornamento": foglie di cavolo crudo o di indivia, cipollotti freschi macerati nel Barbera,
tuberi di topinambur, barbabietola rossa cotta al forno, rape, cimette di cavolfiori e patatine lessate etc.
4) La padrona di casa deve preparare le verdure in modo che il commensale le trovi già pronte da intingere: i cardi privati dei filamenti e tagliati a toccotti, i peperoni presentati in
falde etc.
5) Il tragitto della forchetta dal diàn alla bocca del commensale deve essere compiuto con l'ausilio di un bel pezzo di pane che raccolga l'eventuale sgocciolamento.
6) E' usanza comune terminare la Bagna Cauda strapazzando qualche uovo fresco negli ultimi residui di salsa contenuti nel diàn.
Sono molti i piatti della cucina piemontese che portano dei nomi in qualche modo legati alla celebre storia d'amore fra Vittorio Emanuele II e la sua amante, la contessa di Mirafiori. Il più noto è costituito dalle "uova alla Bela Rosin".
La preparazione è molto semplice, basta infatti tritare delle uova sode e servirle con prezzemolo ed olio.
Agnolotti alla Cavour.
Per la pasta.
Preparare una sfoglia con farina, uova, sale e olio d’oliva.
Per il ripieno.
Spellate una salsiccia, sminuzzatela e fatela scottare in un tegame affinché avrà perso il suo grasso.
Lavate accuratamente del cervello, liberatelo della pellicola sanguigna che lo ricopre, e fatelo insaporire a pezzettini in una grossa noce di burro.
Tritate finemente del vitello arrostito e stufato di manzo; trasferite il trito in una terrina, unitevi la salsiccia sminuzzata, il cervello, delle uova, noce moscata grattugiata, sale e grana in quantità sufficiente ad ottenere un impasto compatto.
In acqua bollente salata, sbollentate delle foglie di scarola, scolatele, strizzatele e tritatele finemente, unendole al ripieno.
Coprite e lasciate riposare.
Riprendete la pasta, stendetela con il matterello a sfoglia sottile. Dividete il ripieno in palline che distribuirete su una metà della sfoglia distanziate tre dita le une dalle altre.
Ricoprite con l’altra metà della sfoglia premendo con le dita intorno ai ripieni e, utilizzando l’apposita rotella tagliate degli agnolotti quadrati o rotondi.
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