Luogo fertile e generoso, grazie alla varietà del paesaggio e alla presenza di numerosi corsi d’acqua, la Lombardia è una delle regioni più ricche di prodotti alimentari e di tradizioni culinarie. Il territorio, collocato al centro della più vasta tra le pianure italiane e delimitato a nord da una fascia collinare e dalle Alpi, degrada dolcemente verso una piana di origine alluvionale che occupa poco meno della metà della sua superficie e che ospita i Laghi Maggiore, di Garda e di Como. La loro presenza contribuisce a mitigare il clima continentale e le sponde, soprattutto quelle del Garda, costituiscono il luogo adatto per la coltivazione di olivi, limoni e cedri. Le zone collinari e in parte anche le montuose, come ad esempio la Valtellina, ospitano vigneti e frutteti, mentre quelle pianeggianti – grazie all’ampia rete di canali d’irrigazione – presentano estese colture di cereali, frutta, verdura e foraggi. Proprio l’abbondanza del foraggio rende possibile l’allevamento dei bovini e una ricca produzione di latte e derivati.
La storia della regione ha inizio con le popolazioni celtiche che, per mano degli Insubri, fondarono la città di Milano. L’odierno capoluogo regionale, grazie alla sua posizione geografica, ha rappresentato fin dall’inizio uno dei punti strategici dell’intera area padana: a partire dall’anno 292, quando divenne capitale dell’Impero Romano d’Occidente, Milano conobbe infatti un importante e pressoché continuo sviluppo economico e commerciale. Il suo ruolo privilegiato cominciò a indebolirsi solo con la crisi dell’Impero e il conseguente trasferimento della residenza imperiale a Ravenna, per subire una definitiva battuta di arresto nel corso delle invasioni barbariche. I saccheggi di Unni, Eruli, Burgundi e Ostrogoti travolsero l’area lombarda, danneggiando le popolazioni con la decimazione del bestiame e la devastazione dei raccolti; all’arrivo dei Longobardi, tutta la zona portava i segni di un’estrema povertà e miseria. Neppure la successiva amministrazione franca di Carlo Magno – sceso in Italia per difendere gli interessi del papato e le proprie mire espansionistiche –, pur rivelandosi di maggior lungimiranza rispetto a quella precedente, riuscì a risollevare le sorti della regione che cominciò a conoscere un certo sviluppo economico solo verso l’anno Mille, dopo oltre cinque secoli di totale abbandono.
Nel corso dell’epoca comunale la Lombardia potè finalmente beneficiare di una ripresa economica e demografica: si svilupparono i commerci, si consolidarono i centri urbani, aumentarono gli insediamenti rurali e ricominciò la messa a coltura delle campagne. Il tentativo di limitare l’autonomia politica ed economica dei Comuni da parte di Federico Barbarossa, determinò poi la loro coalizzazione nella Lega Lombarda e l’opposizione all’Impero.
Nonostante la ridotta disponibilità i fonti, si possono oggi ricostruire quali fossero le abitudini produttive e alimentari succedutesi nel corso delle differenti epoche. Nel periodo di dominazione celtica erano praticate coltivazioni di grano saraceno, orzo, miglio, grano tenero e rape; tra gli animali da allevamento, il più diffuso era il maiale, prezioso per la qualità delle carni e per il grasso. La cucina era sostanzialmente povera, a base di polente di granaglie cui venivano uniti vari ingredienti, come castagne e rape, mentre lardo e strutto rappresentavano gli unici grassi utilizzati nelle preparazioni. Risale a quest’epoca uno dei primi impieghi del grano tenero con il quale veniva confezionato un cibo prelibato, il pregiatissimo pane bianco. Con l’arrivo dei Romani, che introdussero numerose coltivazioni, l’alimentazione cominciò a evolvere: gli orti si arricchirono di carote, cipolle, cavoli, cicorie e carciofi, agnelli e capretti incrementarono il novero degli animali allevati. Nonostante l’aura di sacralità che li circondava, i bovini divennero una fonte alimentare importante, se non per le carni quanto meno per il latte, indispensabile per la preparazione di formaggi e del burro, che gradualmente affiancò gli altri tipi di grasso.
In epoca longobarda, cereali, verdure, carni e grasso animale erano i pochi cibi disponibili nelle dispense delle classi più agiate. Insieme alla carne bovina si cominciavano a impiegare anche pollame e cacciagione: si ha notizia di alcune preparazioni come quella definita “alla creta”, a base di volatili cotti al forno dentro un involucro di creta per mantenere la tenerezza delle carni. I ceti popolari, per completare miseri pasti a base di prodotti della terra come bacche, radici, erbe selvatiche e tuberi, utilizzavano invece farine di scarso valore nutrizionale, come segatura mischiata a segale.
Con il successivo avvento delle Signorie la Lombardia, che costituiva da sempre un tessuto territoriale unitario, si divise in tre parti: il Ducato di Milano, quello di Mantova e i territori veneziani estesi sino alle sponde dell’Adda, comprese le aree intorno a Bergamo e Brescia. La regione si avviava definitivamente a diventare una delle più densamente popolate d’Europa, con una prospera attività mercantile e manifatturiera e un’agricoltura ricca ed evoluta. È in questa fase che cominciano a delinearsi alcune diversificazioni culinarie. Nel Cinquecento, Venezia individuava nel grano dorato giunto dalle nuove Americhe e battezzato dal popolo “grano turco”, cioè straniero, una fonte alimentare di primaria importanza; in breve tempo, con lo sfarinato di questo nuovo cereale in tutto il Veneto e nelle aree limitrofe si imparò a preparare la polenta. In Lombardia, le province di Bergamo e Brescia sono da sempre quelle che la impiegano in misura maggiore: proprio a Bergamo si prepara la tipica “polenta e osei”, ricetta che abbina alla polenta gli uccelletti cotti allo spiedo tra foglie di salvia. Talmente tipica da dare il nome al dolce più caratteristico della città che ne imita forma (una cupoletta di pan di Spagna), colore (un rivestimento di marzapane giallo) e accostamento (uccellini di cioccolato). La vicinanza di Bergamo e Brescia alla gastronomia veneta è testimoniata anche dai casonsei o casoncelli, i ravioli di pasta fresca all’uovo con diverse farciture, solitamente a base di salsiccia, pangrattato, parmigiano e verdure come spinaci e bietole, analoghi ai casunziei della provincia di Belluno, ravioli ripieni di zucca e spinaci, oppure di bietole nell’Ampezzano.
Mantova, a partire dal Trecento, visse con i Gonzaga un periodo di grande splendore e floridezza, contraddistinto da una straordinaria fioritura culturale, artistica e anche culinaria. Il matrimonio di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este rese più intensi i rapporti tra Mantova e Ferrara, le due città che condividevano la passione per la zucca, utilizzata già all’epoca come ripieno per gli squisiti tortelli. Non a caso la cucina mantovana si differenzia da quella delle altre province lombarde e sembra rispecchiarsi più in quella emiliana, non solo per la produzione di Parmigiano Reggiano e Lambrusco, ma anche per lo stile dei piatti, che comprendono gli umidi, il pasticcio di maccheroni e l’ampio repertorio delle paste ripiene, tutte preparazioni che si collegano più alla raffinata gastronomia estense che non alla pragmatica cucina lombarda. Nel complesso, si tratta di un ricettario “democratico”, in quanto non si riscontra una netta separazione tra piatti nobili e popolari: i primi erano più che altro frutto di elaborazioni e aggiunte a piatti nati poveri.
A Milano i ducati, visconteo prima e sforzesco poi, aprirono una felice stagione di prosperità. I Visconti, divenuti signori della città nel Duecento, a partire dal secolo successivo inaugurarono un periodo di splendore durante il quale, in occasione di feste e cerimonie, venivano organizzati sfarzosi banchetti con ricche portate di maialini, pesci, lepri e vitelli. Le cronache del tempo raccontano addirittura di “maialini rivestiti di lamine d’oro che gettavano fiamme dalle bocche spalancate”. Si tratta del tipico banchetto organizzato secondo modalità ancora medievali, contraddistinto da un accumulo di carni e sapori diversi, gusto per la sorpresa e combinazione di gastronomia ed eventi spettacolari.
La politica di entrambe le casate mirò a esportare nei territori conquistati la cultura del ducato, e con essa la gastronomia, ma non fu, al contrario, molto permeabile alle contaminazioni esterne. Si pensi ad esempio al modesto utilizzo del pomodoro, assente nelle ricette tradizionali della cucina meneghina.
Tra i piatti più tipici, vero simbolo della tradizione gastronomica meneghina, la cotoletta ha con tutta probabilità un antenato d’oltralpe, quel lombolos cum panitio di cui rimane traccia in un documento riferibile all’epoca franca e che veniva servito accompagnato da piperata, una salsa al pepe che, dopo la scoperta delle Americhe, si completerà con il peperone. La paternità della cotoletta è stata per un certo periodo contesa anche con la tradizione gastronomica austriaca – all’epoca della dominazione asburgica in Lombardia – che richiamava la sua somiglianza con la wienerschnitzel viennese, una fettina di vitello senz’osso, infarinata, impanata e fritta. A fugare ogni dubbio è stato un accreditato suddito della corona asburgica, il maresciallo Joseph Radetzky, massima autorità austriaca a Milano, che, in una lettera al conte Attems (aiutante di campo dell’imperatore Francesco Giuseppe), confidava di aver scoperto un piatto milanese, la cotoletta, descrivendola in modo dettagliato. A dispetto dell’influenza esercitata dalla gastronomia bergamasca sui territori brianzoli a nord del capoluogo, la cucina meneghina predilige alla polenta il riso – la cui produzione si incrementò nel periodo degli Sforza grazie all’interesse di Galeazzo Maria. Proprio il risotto allo zafferano è uno dei piatti più famosi e rappresentativi della tradizione culinaria della città.
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La cucina lombarda accomuna gastronomie di province diverse storicamente e orograficamente, con una serie di prodotti gastronomici tipici della produzione agricola della regione.
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