La cucina milanese ha il suo cuore pulsante nei latticini e nei formaggi.
Tra i piatti tipici della tradizione di questa città trovano infatti sempre posto ingredienti come burro, latte o panna, come minimo troviamo una grattugiata di formaggio.
Polenta e latte, castagne e latte, riso e latte erano i piatti principali per la cucina povera milanese.
La musica cambiava di poco per i più ricchi borghesi: infatti i piatti restavano gli stessi, con l’unico cambio tra la panna e il latte.
A conferma di questa passione per i latticini dei milanesi un ingrediente tipico dei dolci milanesi è il formaggio mascarpone.
Ovviamente in una città come Milano la cucina tipica non annovera solo il latte. Per le tradizioni del capoluogo lombardo esistono piatti che poco hanno a che fare con i latticini.
Un chiaro esempio è il risotto giallo allo zafferano non a caso conosciuto internazionalmente come Risotto alla Milanese oggi fatto con mille varianti ma sempre geniale nei suoi semplici ingredienti di base: riso midollo di bue e burro, con questa aggiunta di zafferano che passò direttamente dal pestello dei colori alla pentola, colorando così di giallo il riso e rendendolo indimenticabile non solo al gusto ma anche agli occhi. Oppure, sempre in tema di primi piatti, ricordiamo la busecca (la trippa) piatto povero o poverissimo fino agli anni cinquanta ma ormai entrato nell'olimpo dei gourmet.
Passando ai secondi citiamo la "cassoeula di carne di maiale” (salsicce insieme a verze, cotiche e costine), senza però dimenticare la famosa cotoletta alla milanese.
Terminiamo l’excursus con i dolci in cui trova sicuramente spazio il Panettone, il simbolo, d'origine antica, che la tradizione narra nato come "pane dei signori" (pane di "tono" dal francese pan de ton) Dolce speciale preparato solamente in occasione del Natale, come la Colomba inventata in occasione della Pasqua, non mancano delizie locali meno conosciute ma non meno buone come la Marquise al Cioccolato vera ghiottoneria per golosi.
Piatti di carne e di pesce.
- Trippa in umido (busecca). In alternativa, può essere considerata una zuppa, un piatto unico o una pietanza. Rosolate per dieci minuti le trippe miste degli stomaci di vitello[28] in un soffritto di burro, lardo, cipolla, sedano a pezzetti, carote a fettine e salvia, si aggiunga acqua, un pezzo di coda di manzo, pomodoro e fagioli borlotti. Due ore e mezzo di cottura con coperchio, a fuoco lento lasciando riposare alla fine per potere "schiumare" (sgrassare); servire con abbondante formaggio grattugiato. Una variante: foliolo coi borlotti, foijoeu cont i borlott.
- Cotoletta o costoletta alla milanese (coteleta): costoletta di vitello tagliata dal carré, con l'osso, impanata e fritta nel burro a fiamma vivace. Per una buona riuscita, di vitello giovane (civett), di spessore costante, frollata almeno un giorno, accuratamente mondata da ogni "legamento" con l'osso, sfibrata col batticarne. Passarle leggermente nell'uovo sbattuto e impanare in mollica non vecchia di pane bianco, appena prima della cottura; friggere in padella piatta col burro a color nocciola.
- Ossobuco (òsbus a la milanesa): trancio di stinco di vitello o manzo in umido. Infarinare leggermente e rosolare a fiamma vivace in burro su entrambi i lati, adagiare su un soffritto di cipolla, carote e sedano, con pomodoro, bagnare con vino bianco, coprire e fare cuocere a fuoco lento per un'ora e mezzo rabboccando con brodo. La cottura è a punto quando la carne si stacca dall'osso. Poco prima cospargere di gremolada (trito) di prezzemolo, poco aglio e rosmarino, con scorza di limone. Da solo o, meglio, sul risotto giallo.
- Cassoeula (bottaggio di verze) È la posciandra, antico piatto celtico (stufato di carni di maiale in verdure) descritto anche da Pietro Verri nella sua Storia di Milano con riferimento all'XI secolo e alla cottura rituale della vivanda propiziatrice della pioggia. Cotture separate: breve per costine e salsicce (luganeghitt) e (più prolungata) per piedino, guancia, musetto, cotiche e parti più resistenti; frequenti sgrassature. Le verze, abbondanti, solo all'ultimo perché non si disfino. Servita su polenta.
- Rustìtt negàa (letteralmente Arrostini annegati, nodini di vitello con burro e salvia, prima rosolati e poi annegati con vino e brodo, da cui il nome)
- Fritto misto alla milanese: cervella, animelle (laccett), fegato e rigaglie di pollo.
- Tempia di maiale e ceci (tempia e scisger) piatto tradizionale per il giorno dei morti e nel mese di novembre.
- Polpette (mondeghili, polpett) di carne già cotta, legate con pan grattato, uova, salame crudo o mortadella, prezzemolo tritato e spezie. Stufate avvolte in foglie di verza trattenute con filo di refe le seconde, o leggermente appiattite e fritte a fiamma vivace nel burro le prime
- Lumache alla milanese (sgusciate, con cipolla, acciughe e prezzemolo; aglio, farina e vino). Piatto dalla lunghissima preparazione, per il laborioso spurgo dei molluschi prima a freddo e poi a bollore. Per la cottura finale e perché il "sughetto" sia della giusta consistenza, un'ora a fiamma lentissima rimescolando di continuo
- Rane fritte: ben lavate e asciugate con un panno, leggermente infarinate, ben dorate in burro spumante
- Rane in guazzetto: si inizia come le precedenti, a fuoco vivo, lasciandole dorare per bene, poi si aggiunge vino bianco, si sfuma e si addensa con un po' di farina, aggiungendo un trito di prezzemolo e aglio. Si prosegue la cottura a fuoco lento rabboccando con brodo
- Luccio (lusc) in stufato. Le carni, saporite ma tigliose, richiedono una lardellatura prima della cottura. Vivacemente rosolato su un letto di cipolla, carote e sedano, si continua la cottura sfumando di vino e tenendo umido con acqua a fuoco lento. Sfilettato, si irrora dal sughetto di cottura passato al setaccio
- Anguilla coi borlotti e Anguilla e pesci d'acqua dolce in carpione. Spellata e divisa a tocchi l'anguilla viene rosolata vivacemente con la salvia, irrorata di vino bianco e accompagnata con un po' di concentrato di pomodoro stemperato in acqua o brodo e dai borlotti già quasi cotti prima in acqua. Per la marinatura, si prosegue la cottura iniziale, si dispongono i pezzi ben serrati in una terrina coperti dal carpione. Per quest'ultimo, soffriggere nel condimento usato per il pesce, alloro, rosmarino, chiodi di garofano, aglio, cipolla a rondelle, pepe. Aggiungere abbondante aceto e portare a ebollizione. Lasciare marinare l'anguilla per quattro giorni.
- Asparagi alla Milanese. Da un ortaggio molto comune nel territorio, sia coltivato sia spontaneo, una ricetta oramai universale, con formaggio grattugiato e uova in cereghin.
Piatti della consuetudine.
Comuni a tutta la regione e in genere alla Valle padana, altri piatti che si consumavano abitualmente sulle tavole milanesi. La polenta, cibo di poveri e di ricchi a seconda di come la si accompagnava (polenta vedova, da sola, polenta accomodada, condita o fritta): polenta e latte, polenta e formaggio (gorgonzola, stracchini) con o senza burro, polenta pasticciata, (pastizzada, con salsiccia, grana e funghi), polenta e merluzzo (piatto tipico del venerdì).
Altro piatto importante nell'uso (soprattutto domenicale), il bollito misto, derivato probabilmente dalla tradizione piemontese, (less) accompagnato con mostarda o salsa verda.(prezzemolo, acciughe, aglio). Ancora carni: fritt de less (cotoletta di carne bollita avanzata), manz in grass de rost (manzo al grasso di arrosto), polpett de la serva, fegato alla milanese, involtini di vitello alla milanese, vitello tonnato, scaloppine di vitello al marsala o al prezzemolo, piccata di Vitello al prezzemolo, pulpet de la sigula, involtini di vitello ripieni di parmigiano, prosciutto e prezzemolo.
Verdure (funghi) impanate con uovo e fritte, cardi alla besciamella, fiori di zucca fritti, barbabietola rossa in insalata, pasticcio di patate, sformato di spinaci, oltre alle foglie e ai tuberi di stagione crudi o lessati e ai conosciutissimi asparagi alla milanese con uova al burro e formaggio grattugiato. Per le classiche uova, due modi nostrani nel definirle: al tegame col burro, in cereghin (in chierichetto), e sode, dimezzate, in ciappa (in chiappa). Cotture tipiche: in frittata (fertada), uova sbattute con pomodoro in padella, al tegame coi porri.
I formaggi tradizionali della cucina milanese, consumati per "accomodare" i cibi ma anche come pietanza, fanno riferimento a tipologie ben precise: il grana o formaggio da grattugiare (formagg de granna), nella varietà lodigiana, per ragioni di vicinanza geografica. Il gorgonzola e gli stracchini molli, il taleggio, il quartirolo e il mascarpone. Non manca il fritto: ricottina (mascherpa) fritta nel burro.
Dolci.
- Il panaton, panettone compare nel Varon Milanes, prima del 1606, ed è così definito: pan grosso quale si suol fare il giorno di Natale; col tempo, la grafia muterà leggermente (panatton), ma non la ricetta: pasta di pane, burro, uova, zucchero, uva passerina (ughett), sottoposto[50] a una lievitazione più prolungata per conferirgli leggerezza; caratteristica anche l'incisione sulla faccia superiore (a mandorla) che con la cottura si apre a "molti cornetti". Oggi, con il pandoro di Verona è il dolce nazionale in occasione delle ricorrenze natalizie.
- La stagione autunnale porta la busecchina (letteralmente trippetta) dolce di castagne secche, ammollate per una notte bollite lentissimamente fino a che abbiano riassorbito quasi l'acqua di cottura e aggiungendo al ristrettissimo brodo un bicchiere di vino dolce: servite tiepide in ciotole, affogate nella panna liquida o guarnite da quella montata, o entrambe le cose. Il castagnaccio (pattona, pan de castegn) è prodotto da forno molto diffuso e ne esiste una versione milanese, ma le castagne e i loro venditori fanno parte dell'iconografia milanese della prima metà del secolo scorso: sono i fironatt, venditori di collane di castagne affumicate, il Gigi della gnaccia o quel della gnaccia, i venditori di castagnaccio e quei di brusaa o di scott, i caldarrostai o i venditori di marroni lessati.
- Due torte della tradizione milanese sono la meneghina e la bertolda o bertuldina, entrambe da cuocere in teglia al forno: la prima con uova, farina bianca, farina di nocciole, latte, lievito e zucchero, mele da mescolare a spicchi nell'impasto prima della messa in forno. La seconda con farina bianca e farina gialla "fioretto" a grana molto fine, impastate con uova, abbondante burro fuso, latte, scorza di limone grattugiata, lievito. Di farina gialla, ma a grana grossa, anche il Pan Mejin, versione dolce e variamente arricchita del pane giallo.
- La carsenza (crescenza) in dialetto indica sia il piccolo formaggio molle (stracchino) un tempo schiacciato e tondeggiante, sia le focacce salate o dolci tipiche del Capodanno come recita il Rajberti nella poesia più sopra. Il Banfi ne ricorda sei: con uova e zucchero, con lo strutto, di pasta di bonbon, di pasta dura, frolla o di marzapane. Per la ricorrenza dei defunti si preparavano gli oss de mord (ossa da mordere) e gli oss o pan di mort (ossa o pane dei morti), entrambi a base di mandorle, durissimi i primi in forma di biscotti, più masticabili i secondi, tondi e simili nella forma al panforte.
- Per carnevale, come un po' dappertutto, tortelli e chiacchiere, ma qui un tempo rigorosamente fritti, mentre oggi sono cotti al forno. Da ricordare due dolci poveri, che si preparavano in casa: la cutiscia, pastella di farina e acqua, un pizzico di bicarbonato per sostituire il lievito e un po' di zucchero, poi fritta in oli de linosa, olio di lino, oggi d'oliva[56] e la frittura dolce, a base di semolino: l'aggiunta di un cucchiaino di cacao tra gli ingredienti ne darà la variante al gusto di cioccolato.
- Un tonico, più che un dolce, la intraducibile rossumada a ressumada: tuorlo d'uovo sbattuto con zucchero e vino rosso, per gli adolescenti in crescita e le persone affaticate; faceva parte di quelli che oggi chiamiamo i "rimedi della nonna" che non vanno assolutamente somministrati a minorenni. Si può fare anche con marsala o brodo. Ha un inventore, invece, Domenico Barbaja, la barbajada, la bevanda di cioccolato, caffè e latte che dalla metà dell'Ottocento accompagna la degustazione dei dolci milanesi.
Specialità difficilmente classificabili.
- Cervellaa, la cervellata. In milanese, salumieri o pizzicagnoli si chiamano cervellee e il termine è legato per l'appunto alla cervellata, "una sorta di salsiccia alla Milanese", dice il Vocabolario della Crusca nell'edizione, la quarta, del 1729 che tutti producevano e su cui si misurava la loro abilità. Il problema nasce dal fatto che, a quanto pare, di cervella non ce n'era. Questa "salsiccia" è citata, nel XV secolo, nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino[63], che forse ne è anche l'inventore. Nel primo capitolo, tra gli ingredienti (coscia magra di maiale o di vitello, buon grasso di porco o di vitello battuti il più finamente possibile al coltello, cacio vecchio e cacio grasso, buone spezie, due o tre uova, zafferano, il tutto accuratamente mescolato e insaccato in budello di maiale e legato lungo o curto come vuoi) la cervella non compare. È il Cherubini ad argomentare nell'Ottocento che troppi sarebbero stati i maiali da macellare, vista l'esigua dimensione del loro cervello, per soddisfare la pretesa di aggiungerne anche solo un poco nella diffusissima produzione dell'insaccato[64] e opina che, forse, nell'antichità si era potuto fare e il nome era poi sopravvissuto. Secondo Maestro Martino era da consumarsi lessata, ma ancora nel XIX secolo era usata come "base" nella confezione di diversi piatti che richiedevano un soffritto iniziale (per esempio nel risotto) o per preparare brodi. La sua produzione si ridusse fino a sparire alla metà del secolo scorso: oggi è ricomparsa tra le specialità della più nota salumeria-gastronomia di Milano, proprio nella ricetta quattrocentesca.
- Torta alla milanese. Di un altro grande gastronomo, l'Artusi, è la ricetta di questa specialità che nonostante il nome e alcuni degli ingredienti non è un dolce. Si parte da carne magrissima lessata o arrostita tritata finissima al tagliere, la si mescola con cioccolata sciolta, aggiungendo pinoli e uva sultanina e mettendo al forno tra due strati di pasta frolla. "Non ha bastanti meriti per figurare in una tavola signorile e per piatto di famiglia è alquanto costoso", commenta l'Artusi stesso, ma ne fornisce la ricetta come specialità meneghina.
Vini.
Milano e il suo territorio non hanno viticoltura, se si eccettua San Colombano, amministrativamente milanese ma più vicina a Lodi. Non è stato sempre così: leggendo i due Brindisi di Meneghino all'osteria di Carlo Porta, si scopre un lungo elenco di terre e vigneti all'intorno della città, qualcuno addirittura in quella che oggi consideriamo l'area urbana, e il poeta ne magnifica le qualità paragonandoli addirittura con i grandi vini del continente. Certamente una campanilistica "licenza poetica", ma sappiamo che tutto l'Alto Milanese, prima della bonifica Villoresi, fino alla fine del XIX secolo, aveva la viticoltura come attività agricola preminente.. El vin nostran non era sufficiente comunque ai consumi milanesi e si ricorreva all'importazione, sia dalla regione, sia da quelle vicine sia, infine, di robusti vini da taglio dal Meridione e ancora oggi trani è sinonimo di osteria e tranatt è l'ubriacone. Nelle osterie venivano serviti anche piatti caldi, in particolare la trippa; un vecchio detto milanese in latino maccheronico recita infatti: post crostinum vinum, post vinum crostinum, è meglio ber a stomaco pieno
fonte: Wikipedia
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