La cucina presenta caratteristiche piuttosto acidognole: quasi tutto è cotto con aceto e spremute di agrumi. Riso, mango, spezie, pesce e salsicce da comprare al mercato e consumare sulla spiaggia.
Tradizioni spagnole, messicane e asiatiche rivisitate e fuse con accenti latini.n mix di sapori intensi e spesso inconsueti. Una cucina poco conosciuta all’estero, che però si propone come crocevia gastronomico tra Asia e Spagna, con influenze dal Messico - la colonia di Madrid che per secoli è stata il ponte tra la madrepatria e le isole asiatiche - e dalla Cina. Certo, i novanta milioni di Filippini sono asiatici molto particolari in tutte le loro manifestazioni, non solo nell’arte culinariaIspirazione ispanica
Per capire le particolarità dell’arte culinaria filippina, e la sua originale fusion ispano-asiatica, bisogna capire la storia di questa nazione formata da più di settemila isole. Genti di stirpe mongola colonizzarono l’arcipelago circa 15 mila anni fa e cominciarono le coltivazioni di riso, il loro principale alimento. Poi vennero gli spagnoli, che portarono piatti come la caldereta, le empanadas e i tamales per arricchire la dieta molto basilare delle popolazioni locali. I britannici fecero una fugace apparizione nella seconda metà del Settecento, ma non lasciarono tracce “golose”. Infine gli Americani, che si stabilirono qui alla fine dell’Ottocento e rimasero fino alla Seconda Guerra Mondiale, lasciarono un “tatuaggio” culturale più evidente: qui quasi tutti parlano inglese (con accento yankee), e non sono affatto rari i fast food.
Ma a livello gastronomico, ben più interessante e profonda è stata l’influenza cinese, vista anche la cospicua immigrazione da quel Paese. La gastronomia pinoy (termine col quale i filippini definiscono colloquialmente se stessi) può contare su un gran numero di ingredienti freschissimi (pesce, frutti di mare, riso, cocco, frutta esotica, usata anche in preparazioni salate) e anche di metodi di cottura mutuati dai diversi Paesi dell’area, che si fondono e si integrano per dare emozioni inconsuete al palato. Le salse all’aglio e pomodoro provengono dalla Spagna, i curry e l’uso del latte di cocco dalla Malesia, la salsa di soia, gli agrodolci e le combinazioni a base di zenzero sono invece proprie della cucina cinese.
La paella è una delle pietanze più diffuse, come tanti altri piatti a base di arroz (riso), come l’arroz valenciana (un’altra paella di pesce) e il bringhe (un piatto di riso colloso con latte di cocco). La salsa di soya è onnipresente in cucina e qui serve a condire soprattutto le carni. La preparazione più popolare ovunque è però l’adobo, uno stufato di maiale con aglio, salsa di soia, foglie di alloro e aceto (ogni provincia delle Filippine ha il suo tipo peculiare) per creare un intingolo agrodolce che si cucina però con metodo spagnolo.
Dalla Madrepatria sono arrivati anche i chorizos, le salsicce alla paprika. Il pesce freschissimo (dai gamberi alle cernie, dalle seppie ai granchi) è portato in tavola sotto forma di seviche (crudo e marinato nell’aceto), o kilawin, quando alla seviche si aggiunge abbondante chili affettato e crema di cocco. Esiste una variazione sui tagliolini cinesi detta pancit (addirittura vengono serviti in locali “dedicati”, le panciterias e conditi con un’infinita varietà di salse, dalle ostriche a una salsa di gamberi e uova di anatra). In ogni festa popolare non manca mai il lechon, maialino di latte stufato con foglie aromatiche. I dessert a base di riso e latte di cocco sono di derivazione malese, come il bibingka, una torta di riso cotta in un forno portatile di terracotta e insaporita da foglie di banana e clay. Si trova anche sottoforma di street food. L’halo-halo, però, è forse il dessert più famoso: si tratta di una coppa di vetro riempita con fagioli e ceci sottoconserva e dolcificati, polpa di cocco (macapuno), langka (jackfruit), riso, radice di igname, ghiaccio tritato, flan de leche (tipo budino di latte), banane dolcificate, latte. E per finire, una guarnizione di gelato.
Le perle della tradizione.
I filippini mangiano (almeno) cinque volte al giorno e, a metà mattinata e a metà pomeriggio, fanno sempre merenda. Il breakfast (almusál) consiste in riso fritto con uova e pan de sal (dei panini dolci) mangiati caldi e caffè forte. Per il tanghalían (pranzo) o la hapúnan (cena) vengono serviti (tutti insieme, nello stesso momento) tanti piatti diversi: riso, zuppe, stufati, verdure soffritte, condimenti. Le pietanze vengono chiamate a seconda del metodo di cottura, piuttosto che riferendosi all’ingrediente principale: così, ad esempio, il kare kare è un curry leggero cucinato in una sublime e “setosa” salsa di arachidi. Per la merenda, i filippini che stanno fuori casa, in viaggio o al lavoro, hanno a disposizione un “eden” di street food.
Ovunque, nelle caotiche strade di Manila, come nei mercati dei villaggi più piccoli, si trovano bancarelle con ogni leccornia locale. Fra gli street food più popolari: banana cue (banane infilzate su uno stecco di legno, rotolate in zucchero di canna e poi fritte); betamax (cubetti di “sangue di pollo essiccato” e arrostito); kamote (una patata dolce pelata, passata nello zucchero di canna e poi fritta); chicharon (ciccioli). Poi le polpette di pesce o di calamari, messe su uno spiedino e poi condite con una salsa agrodolce ; gli isaw (intestini di pollo); le kwek-kwek (uova di quaglia bollite, intinte nel burro e poi fritte); le tokneneng (simili alle kwek-kwek ma preparate con uova di gallina).
Una puntata al mercato.
A Manila il posto dove “costruirsi” un sano appetito è Intramuros, cuore della città costruita dai colonizzatori spagnoli e cinta da mura, dove visitare alcuni edifici storici (come la Casa Manila, una stupenda dimora coloniale) sopravvissuti ai bombardamenti della Grande Guerra e antiche chiese, come la cinquecentesca San Augustin, che miscela influenze castigliane, cinesi e locali. Dopo, si può andare a dare un’occhiata al principale mercato della capitale: dall’organizzatissima sezione delle carni (dove fanno bella mostra di sé anche orecchie di porco, code di bue e chilometri di trippa), si passa a quella del pesce: colorati pesci pappagallo (blu e gialli), lapu-lapu (cernia locale), verdure, tra cui il kangkong, “spinacio di fiume”, onnipresente in tanti piatti, e il kalamansi, un agrume dalla forma e dimensione di una pallina di ping-pong, dalla buccia verde come il lime e dalla polpa dolce e color arancio come quella del mandarino. Abbondano ovviamente, soprattutto in estate, le diverse varietà di manghi dolcissimi, frutti nazionali delle Filippine, che compaiono in tantissimi piatti anche salati.
Viaggiando verso sud, per raggiungere il Lago Taal (al centro del quale sorge un vulcano, che contiene poi un altro lago da cui emerge un secondo cono vulcanico), ci si può fermare al piccolo ma animato mercato di Tagaytay. Ci sono vari tipi di riso sulle bancarelle, come il Crystal Blue, il Dinorado (il più caro, che arriva da Mondoro e costa 28 pesos al chilo), l’Angelika, il Triple Star. E poi le uova, che nelle Filippine sono un “affare serissimo”, nel senso che una piccola variazione di forma e dimensioni può far variare sensibilmente il prezzo. Una bottega vende esclusivamente uova: alcune strane, color magenta intenso. Sono uova d’oca messe per due settimane “a riposare” sotto fango e sale. Non manca nemmeno qui il più tipico (e popolare) street food pinoy: i balut, ovvero le sorprendenti uova d’anatra con l’embrione del pulcino dentro: si mangiano condite con sale e i locali asseriscono che sono una leccornia impareggiabile. Chi non avesse il “coraggio” di assaggiare questa specialità, può sempre dirottare il proprio appetito verso gli spiedini di guance di maiale marinate.
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