Gran parte dell’Umbria fu sotto l’influenza dalla civiltà Etrusca e poi di quella Romana. In cucina queste relazioni sono testimoniate dal consumo d’olio d’oliva, di legumi (lenticchia) e cereali (farro).
In epoca medioevale le vicende di questa terra si legarono sempre più alla corte Papale, e dal XII sec. l’affermarsi dei liberi comuni, spinse la chiesa a favorire la nascita in tutta la regione di monasteri, abbazie e ordini religiosi.
San Francesco, San Benedetto, Santa Chiara e Santa Rita sono alcune delle figure immortali generate in questa terra, che sulle tradizioni e il calendario monastico ha incentrato la sua cucina.
Nell’area l’allevamento suino ed ovino vanta antiche tradizioni, e Norcia è sin dai tempi dei romani famosa per l’allevamento del maiale, celebre il “nero” della Valnerina, e tutt’oggi il termine norcino si usa in Italia per indicare colui che conosce l’arte di macellare e trasformare la carne di suino.
Inconfondibili i prosciutti, le lonze, la salsicce, i budellucci, e la porchetta. Gli agnelli della città di
S.Benedetto e i capretti di Cascia sono apprezzatissimi, mentre la produzione di caci e caciotte si esalta nelle medioevali giuncate e nel “castaldo” (formaggio di latte di pecora o mucca con l’aggiunta di tartufo bianco).
Le gesta dei signori medioevali che cacciavano con il falcone, ci ricordano come gli umbri
apprezzino da lungo tempo i piatti dai sapore selvatici. Su tutti spicca il “palombaccio” (colombaccio selvatico) preparato in mille modi. Oltre alla cucina di terra e d’aria, c’è quella d’acqua, generata dai numerosi corsi e dai laghi Trasimeno e Piediluco.
Tinche, anguille, carpe, persici reali, vengono esaltati nel leggendario “tegamaccio”, mentre le trote del Clitunno acquistano nuovo sapore e pregio nel matrimonio gastronomico con il tartufo nero. A Norcia e Spoleto “il diamante della cucina” rappresenta un’indispensabile ricchezza economica, e sia il “tuber melanosporum” re della cucina umbra, che lo scorzone (tartufo estivo meno profumato) vengono inseriti in ricette d’ogni tipo, dall’antipasto al dessert.
Strangozzi al tartufo
C’è una leggenda che corre sull’origine di questo piatto,
semplice ma allo stesso tempo raffinato. Sembra che sulla
collina di Campello Alto (sopra le fonti del Clitunno), nel
vicino castello di Pissignano, sia sostato Barbarossa prima di
distruggere Spoleto. Probabilmente la cuoca del castello
preparò al rosso imperatore degli strangozzi talmente buoni
da convincerlo a cambiare la sua idea originale di distruggere
l’Umbria.
Ricetta
Disporre della farina a fontana, aggiungere sale, poco olio e
acqua tiepida. Impastare fino ad ottenere una panetto
abbastanza consistente. Tirare la sfoglia un po’ più spessa
delle fettuccine, e tagliarla a strisce larghe la punta di
un’unghia. Preparare il condimento facendo dorare dell’aglio
tritato nell’olio. Togliere l’aglio dal tegame, lasciar intiepidire
il liquido, e aggiungere tartufo nero tritato con poco sale.
Con questo intingolo condire la pasta una volta cotta.
Lasche fritte alla maniera Umbra
Sin dal Medioevo il Trasimeno era ricco di questi pesci, come
testimonia anche Mastro Martino (sec. XV), ed i perugini ne
erano talmente ghiotti da essere additati da tutti come
“mangialasche”. Allora le arborelle si arrostivano sulla brace
e si condivano con salsa di agresto. Nei secoli passati fra i
tributi pasquali che il Papa riceveva dalla Guelfa Perugia,
c’erano anche numerose ceste di questi pesciolini.
Ricetta
Pulire e lavare accuratamente le lasche. Adagiarle in una
padella con olio fumante e friggerle a fuoco allegro fino a
che non siano dorate e croccanti. Sgocciolare le lasche, e
servirle lasciando che ciascuno dei commensali le sali a
piacere e vi aggiunga una spruzzatina di limone.
In epoca medioevale le vicende di questa terra si legarono sempre più alla corte Papale, e dal XII sec. l’affermarsi dei liberi comuni, spinse la chiesa a favorire la nascita in tutta la regione di monasteri, abbazie e ordini religiosi.
San Francesco, San Benedetto, Santa Chiara e Santa Rita sono alcune delle figure immortali generate in questa terra, che sulle tradizioni e il calendario monastico ha incentrato la sua cucina.
Nell’area l’allevamento suino ed ovino vanta antiche tradizioni, e Norcia è sin dai tempi dei romani famosa per l’allevamento del maiale, celebre il “nero” della Valnerina, e tutt’oggi il termine norcino si usa in Italia per indicare colui che conosce l’arte di macellare e trasformare la carne di suino.
Inconfondibili i prosciutti, le lonze, la salsicce, i budellucci, e la porchetta. Gli agnelli della città di
S.Benedetto e i capretti di Cascia sono apprezzatissimi, mentre la produzione di caci e caciotte si esalta nelle medioevali giuncate e nel “castaldo” (formaggio di latte di pecora o mucca con l’aggiunta di tartufo bianco).
Le gesta dei signori medioevali che cacciavano con il falcone, ci ricordano come gli umbri
apprezzino da lungo tempo i piatti dai sapore selvatici. Su tutti spicca il “palombaccio” (colombaccio selvatico) preparato in mille modi. Oltre alla cucina di terra e d’aria, c’è quella d’acqua, generata dai numerosi corsi e dai laghi Trasimeno e Piediluco.
Tinche, anguille, carpe, persici reali, vengono esaltati nel leggendario “tegamaccio”, mentre le trote del Clitunno acquistano nuovo sapore e pregio nel matrimonio gastronomico con il tartufo nero. A Norcia e Spoleto “il diamante della cucina” rappresenta un’indispensabile ricchezza economica, e sia il “tuber melanosporum” re della cucina umbra, che lo scorzone (tartufo estivo meno profumato) vengono inseriti in ricette d’ogni tipo, dall’antipasto al dessert.
Strangozzi al tartufo
C’è una leggenda che corre sull’origine di questo piatto,
semplice ma allo stesso tempo raffinato. Sembra che sulla
collina di Campello Alto (sopra le fonti del Clitunno), nel
vicino castello di Pissignano, sia sostato Barbarossa prima di
distruggere Spoleto. Probabilmente la cuoca del castello
preparò al rosso imperatore degli strangozzi talmente buoni
da convincerlo a cambiare la sua idea originale di distruggere
l’Umbria.
Ricetta
Disporre della farina a fontana, aggiungere sale, poco olio e
acqua tiepida. Impastare fino ad ottenere una panetto
abbastanza consistente. Tirare la sfoglia un po’ più spessa
delle fettuccine, e tagliarla a strisce larghe la punta di
un’unghia. Preparare il condimento facendo dorare dell’aglio
tritato nell’olio. Togliere l’aglio dal tegame, lasciar intiepidire
il liquido, e aggiungere tartufo nero tritato con poco sale.
Con questo intingolo condire la pasta una volta cotta.
Lasche fritte alla maniera Umbra
Sin dal Medioevo il Trasimeno era ricco di questi pesci, come
testimonia anche Mastro Martino (sec. XV), ed i perugini ne
erano talmente ghiotti da essere additati da tutti come
“mangialasche”. Allora le arborelle si arrostivano sulla brace
e si condivano con salsa di agresto. Nei secoli passati fra i
tributi pasquali che il Papa riceveva dalla Guelfa Perugia,
c’erano anche numerose ceste di questi pesciolini.
Ricetta
Pulire e lavare accuratamente le lasche. Adagiarle in una
padella con olio fumante e friggerle a fuoco allegro fino a
che non siano dorate e croccanti. Sgocciolare le lasche, e
servirle lasciando che ciascuno dei commensali le sali a
piacere e vi aggiunga una spruzzatina di limone.
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