In molte aree d’Italia, c’è stato poi il periodo contrassegnato dall’impianto di vitigni molto produttivi, anche se scarsi sul fronte della qualità.
Negli ultimi 30 anni, aiutata anche dal passaggio della viticoltura (da promiscua a specializzata), nasce la moda a riconvertire questo "status quo" (da varietà di bassa qualità a varietà pregiate). Sono, quindi, arrivati i vitigni cosiddetti internazionali (in larga parte, già presenti nell’Ottocento nei vigneti italiani). In Italia, comunque, il numero dei vitigni resta ancora davvero molto alto, il più elevato al mondo. Ecco un piccolo elenco di 50 e più vini e vitigni d’Italia.
È prodotto con uve coltivate in Piemonte i cui vitigni assumono il medesimo nome.
Si indicano qui di seguito i principali vini dolcetto in produzione (per una collezione completa si consulti la relativa lista a fondo pagina):
- Dolcetto d'Acqui
- Dolcetto d'Alba
- Dolcetto di Diano d'Alba
- Dolcetto d'Asti
- Dolcetto di Ovada
- Dolcetto di Dogliani
- Dolcetto delle Langhe Monregalesi
- Dolcetto Pinerolese
Presente sin dal 1300 nelle Langhe, viene vinificato in molti vini tra cui il Barbera del Monferrato, il Dolcetto d'Acqui, il Dolcetto di Ovada ed il Dolcetto d'Asti.
Dà vini rossi asciutti (contrariamente al nome), morbidi, gradevoli, profumati.
Colore: rosso rubino tendente al violaceo
Profumo: vinoso, caratteristico, gradevole
Sapore: asciutto, gradevolmente amarognolo di discreto corpo, armonico
Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
FALANGHINA.
Vitigno a bacca bianca, più volte confuso con altri, le cui origini rimangono incerte; le notizie raccolte risalgono più o meno al 1825. Attualmente è diffuso prevalentemente in Campania e trova il suo habitat ideale nell'isola di Procida, nella zona dei Campi Flegrei e nel Sannio, dove forse era già coltivato in epoca romana. Una delle migliori qualità di quest'uva è che, qualunque sia la zona dove viene coltivata, il vino che se ne ricava conserva inalterate le sue caratteristiche organolettiche.
E' chiamata anche Fallanghina, Uva Falerna, Biancuzita, Falerno Veronese, Falanghina Verace. Ha foglia media o piccola, cuneiforme, raramente orbicolare, trilobata e meno spesso pentalobata; grappolo lungo o medio, di media grandezza e compatto, cilindrico o conico, con un'ala corta; acino medio, sferoide, regolare; buccia spessa e consistente, di colore grigio-giallastro, con buona presenza di pruina. La vigoria è buona e la produttività media e costante; matura nella seconda metà di settembre.
La sua ampia diffusione nella geografia vitivinicola campana ci induce a sostenere quanto bene la Falanghina sia stata capace nei decenni ad adattarsi a tutte le varianti morfologiche territoriali regionali quasi sempre con risultati di tutto rispetto tanto da divenire il bianco varietale più diffuso oggigiorno nella nostra regione e soprattutto capace di coprire un’ampia fascia di collocazione commerciale pari a pochi altri vini bianchi italiani con un forte indice di penetrazione sul mercato facendone un successo enologico che non ha riscontri pari per volumi e numeri negli ultimi anni in Campania: insomma un vitigno dal grande passato, un fiorente presente ed un futuro tutto da rivelare.
FIANO.
Il vino Fiano di Avellino, DOCG, presenta un colore paglierino intenso. Dal profumo caratteristico con note di nocciola e dal sapore asciutto ma fresco, con fondo leggermente acidulo con sentori di miele, frutta secca e pera. Il tempo di maturazione consigliato per la sua consumazione è circa di 5 anni.
Zona di produzione: intero territorio dei comuni Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, S. Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, S. Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D'Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino, in provincia di Avellino.
Il ruolo dell'Irpinia nella storia della viticoltura campana era talmente rilevante che alla linea ferroviaria Avellino Rocchetta Sant'Antonio venne dato il nome di "Ferrovia del vino".
Completamente circondata da vigneti, la provincia di Avellino offre vini di fama internazionale come il Greco di Tufo, il Taurasi e il Fiano.
Quest'ultimo prende il nome dal vitigno omonimo, che i latini chiamavano Vitis apiana, grazie alle api, particolarmente ghiotte della dolcezza di queste uve. Questo vino molto apprezzato già nel Medioevo, ha un'origine millenaria. Nel registro di Federico II di Svevia, vissuto nel XIII secolo, è annotato un ordine per tre "salme" di Fiano. Anche Carlo d'Angiò doveva amare il buon vino, al punto da impiantare nella propria vigna reale ben 16.000 viti di Fiano.
Grado alcolometrico minimo - Invecchiamento e qualifiche.
Vitigni: Fiano per un minimo dell'85%; possono concorrere alla produzione di detto vino le uve provenienti dai vitigni Greco, Coda di Volpe bianco e Trebbiano toscano, presenti nei vigneti in ambito aziendale, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo complessivo del 15%.
Acidità totale minima: 5,0 g/l.
Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.
Estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
L'indicazione della denominazione di origine controllata e garantita "Fiano di Avellino" può essere accompagnata dalla menzione tradizionale di origine classica "Apianum".
Caratteristiche organolettiche.
Colore: giallo paglierino più o meno intenso.
Odore: gradevole, intenso, fine, caratteristico.
Sapore: fresco, armonico.
GAGLIOPPO.
- Il Gaglioppo e' una varieta' di vigneto vigorosa e con una buona e costante produzione di uve con un contenuto di zuccheri che vanno dal 18 al 27 % con una media di 23% e con una acidita' medio alta (4.8-12.5)
Base della maggior parte dei vini rossi di Calabria, ed in particolare del Cirò.
Dell'antico vitigno "Gaglioppo" tipico del famoso Cirò e del Melissa esistono diversi cloni, che sono sottoposti già da qualche anno alla ricerca di selezione clonale.
I vini Cirò e Melissa vantano un illustre passato e sono sostanzialmente il nucleo originario della cultura organizzata della vite e del commercio vitivinicolo dell'intera regione. Il Cirò e il Melissa hanno trovato un buon mercato certamente aperto ad un sostanziale ampliamento.
Il Cirò, in particolare, viene esportato in tutto il mondo, conquistando consensi ed apprezzamenti da parte del consumatore più esigente. Negli ultimi tempi si stanno effettuando grandi sforzi per cercare di riqualificare e diversificare le produzioni dei citati qualificati vini.
GARGANEGA.
La garganega è l’uva bianca più importante delle province di Verona e Vicenza, la varietà che domina le colline della DOC Soave. Non possiede una aromaticità spiccata, ma un piccolo patrimonio di profumi di cui la mandorla e i fiori bianchi sono i più nitidi; ha uno sviluppo biologico molto lungo, tanto da giungere a maturazione in ottobre; ha una buccia dura e particolarmente gialla (quasi rossa) quando è matura. Non ha un’acidità preponderante ma piuttosto un equilibrio di estratti e zuccheri.
Gli ultimi studi effettuati sul territorio, frutto della collaborazione tra produttori e istituzioni di controllo e ricerca, fanno emergere almeno quattro sottovarietà, di cui due realisticamente protagoniste del Soave attuale.
- La Garganega Tipica, denominata dal Perez bianca o dal Cosmo comune. È la sottovarietà più diffusa, in collina come in pianura. Ha un vigore moderato, il grappolo è più o meno alato, abbastanza lungo, l’acino è sovente piuttosto grosso, anche se la giacitura (il tipo di sottosuolo) e il microclima possono influenzare proprio quest’ultimo aspetto, facendo scaturire chicchi decisamente minuti. La maturazione tardiva della Garganega rende l’area del Soave una di quelle in Italia in cui la vendemmia si chiude ancora oggi, malgrado la inesorabile desertificazione, ad ottobre inoltrato, quasi fosse una varietà rossa come l’Aglianico del Vulture o il Nebbiolo della Valtellina.
- La Garganega Dario, individuata nella particolare area di Brognoligo, frazione del comune di Monteforte, è una probabile parente di quella che il Marzotto definiva la Garganega grossa. Ha un grappolo più compatto della bianca, il suo acino è naturalmente di maggiori dimensioni e la sua raccolta è ugualmente tardiva. Le sue caratteristiche fisiologiche hanno fatto emergere una particolare inclinazione per i terreni di pianura, mentre è più difficile reperirla in collina.
- La Garganega Verde ha un grappolo molto bello, sia perché la sua ala è delicata sia per la densità dei chicchi che è così rada da renderlo spargolo, l’acino è più piccolo, mentre la sua vocazione privilegia le zone occidentali di Soave e parte del territorio di Costeggiola (frazione di Soave).
- La Garganega Agostega ha un acino grosso ed una maturazione molto più precoce delle altre. Alcuni sostengono che la tendenza a marcire abbia determinato un progressivo abbandono della sua coltura, tanto che in questa fase si può trovare solo in alcuni vigneti tra Soave e Monteforte.
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